Lucio Anneo Seneca
De Beneficiis
Libro I Capitolo III
[1.3.1] Perderà i benefici colui che crede di averli perduti troppo
presto; Ma colui che insiste e accumula altri benefici su quelli
precedenti, riesce a tirare fuori la riconoscenza da un cuore duro e
ingrato. Di fronte ai molti benefici ricevuti non oserà sollevare gli
occhi al cielo; ovunque si giri fuggendo la propria memoria, ti veda lì:
circondalo con i tuoi benefici. [1.3.2] Dei quali benefici ti dirò
quali siano la forza e le proprietà se prima mi avrai permesso di
trattare rapidamente quegli argomenti che non sono pertinenti
all’oggetto del discorso, ovvero per quale motivo le Grazie siano tre,
per quale motivo siano sorelle, per quale motivo intreccino le loro
mani, per quale motivo sorridano e siano giovani, per quale motivo siano
vergini e per quale motivo abbiano delle vesti sciolte e trasparenti.
[1.3.3] Alcuni da parte loro vogliono che sembri che ce ne sia una che
dà, l'altra che riceve, la terza che restituisce; altri vogliono che
esistano tre generi di benefattori: quelli che danno per primi i
benefici, coloro che li restituiscono, coloro che li ricevono e che
nello stesso tempo li contraccambiano. [1.3.4] Ma giudica tu quale tra
queste due ipotesi sia la più veritiera; a cosa giova questa conoscenza?
Perché esse, tenendosi per mano, danzano in cerchio? Proprio per
questo, perché la sequenza dei benefici passando di mano in mano
comunque torna indietro a colui che per primo ha donato e perde la sua
integrità se per caso viene interrotta, mentre è bellissima se resiste e
conserva il suo continuo avvicendamento. In questa danza tuttavia la
maggiore delle Grazie gode di particolare rilievo, proprio come colui
che dà per primo. [1.3.5] I volti sono felici, come sono soliti essere
quelli di coloro che danno o ricevono benefici. Sono giovani, perché la
memoria dei benefici non deve invecchiare; vergini, perché sono
incorrotte, pure e sacre per tutti; in esse non è decoroso che ci sia
alcunché di trattenuto né di vincolato; pertanto posseggono tuniche
sciolte e per giunta trasparenti perché i benefici vogliono essere
osservati da tutti. [1.3.6] Supponiamo anche che ci sia qualcuno tanto
assoggettato ai Greci da ritenere queste cose necessarie, tuttavia non
vi sarà nessuno che giudichi pertinenti alla materia trattata i nomi che
Esiodo ha dato alle Grazie. Egli chiamò Aglaia la più grande, Eufrosine
la seconda e Talia la terza. Ciascuno muta a proprio piacimento
l’interpretazione di questi nomi e si sforza di condurli verso una
qualche logica, quando in realtà Esiodo ha dato alle sue fanciulle il
nome che gli è piaciuto. [1.3.7] E così Omero cambiò nome ad una di
esse; la chiamò Pasitea e la promise in matrimonio, proprio per farti
sapere che quelle non sono vergini vestali. Potrei trovare un altro
poeta capace di rappresentarle mentre incedono con la cintura allacciata
e con vesti di lana frigia o spessa. E quindi anche Mercurio sta con
loro, non perchè il linguaggio o la ragione accrescono il valore del
beneficio, ma perchè così sembrò opportuno al pittore. [1.3.8] Anche
Crisippo, dotato di quel sottile acume capace di penetrare le verità più
profonde, che in genere parla con grande coerenza argomentativa e si
limita ad utilizzare solo le parole necessarie perché il suo discorso
venga compreso, riempie come uno sciocco tutto il suo libro con questa
roba, così da dire davvero poche parole sull’obbligo stesso del dare,
del ricevere e del ricambiare i benefici; e non intreccia leggende a
queste poche parole, ma al contrario intreccia queste poche parole alle
leggende. [1.3.9] Infatti oltre a queste cose, che Ecatone trascrive,
Crisippo dice che le tre Grazie sono figlie di Giove e di Eurinome, che
per età sono più giovani delle Ore, ma che sono un tantinello meglio
d’aspetto e per questo sono state date come compagne a Venere. Egli
ritiene anche che il nome della madre abbia una sua pertinenza: infatti
sarebbe stata chiamata Eurinome poiché il distribuire benefici è tipico
di chi possiede ampie e smisurate ricchezze. Come se fosse usuale dare
il nome alla madre dopo averlo dato alle figlie, o come se i poeti
assegnassero nomi veri! [1.3.10] Come il nomenclatore, nel quale
l'audacia prende il posto della memoria - e che quindi assegna un nome a
caso a tutte quelle persone delle quali non se lo ricorda -, così i
poeti non credono che sia una cosa pertinente dire la verità, ma, o
costretti dalla necessità, o corrotti dal senso estetico, dispongono che
ognuno sia chiamato con il nome che suona a pennello per il verso. E
non ritengono di commettere una frode se hanno cambiato il rango di
qualcuno; il poeta successivo, infatti, imporrà a sua volta il proprio
nome alle Grazie. Affinché tu comprenda che le cose vanno proprio così,
ecco che Talia - ovvero quella delle tre di cui stiamo soprattutto
parlando - è Charis in Esiodo, Musa in Omero.
Nessun commento:
Posta un commento